Direttamente dalla scrivania di Lucilla
Da un po' di tempo, i miei amati romance mancano di mordente, per cui si spazia verso altri generi in cerca di perdute emozioni. La scelta è caduta su un libro che, a mio giudizio, si è rivelato insulso come un tè senza nè zucchero nè limone. E nemmeno latte.
Il romanzo in questione si intitola "Il mistero dei giardini di Hampton Court" , opera seconda di Julia Stuart.
Il titolo italiano è già tutto un programma, visto che si tratta di un'evidente scopiazzatura del titolo del film " I misteri dei giardini di Compton House"; l'originale infatti è "The pigeon pie mistery".
La trama in breve: Alexandrina, detta Visù, è la figlia del Maraja del Punjab e di una donna inglese. Con la famiglia ha sempre vissuto in Inghilterra, a spese della corona, in quanto il padre è un un alleato della regina. A seguito della morte improvvisa del padre,( la madre è morta da anni) Alexandrina si ritrova senza un soldo e la regina Vittoria le concede di abitare in un appartamento nel palazzo di Hampton Court, residenza riservata a nobili decaduti e privi di mezzi. Visù vi si trasferisce insieme a Pooki, la governante indiana; non ha altra scelta, visto che è stata abbandonata da tutti, compreso l'uomo che doveva sposare....
Nel palazzo vive una serie di figure assolutamente sopra le righe, tutte persone ex facoltose neo bisognose, che vivono in questo microcosmo che riproduce in piccolo le grandiosità e le grettezze dell'alta società inglese di epoca vittoriana.
Il romanzo prende tinte gialle quando durante una festa uno degli ospiti del palazzo muore dopo aver mangiato una generosa dose di pasticcio di piccione, cucinato dalla fedele Pooki; le cose non si mettono bene per la povera governante e Visù si improvvisa quindi investigatrice, per salvare la poveretta. La principessa decaduta si getta perciò nel mondo del crimine, ostacolata da mille convenzioni sociali e, oltretutto, dalla fama del padre, morto in maniera assolutamente vergognosa, nel letto dell'amante, sopraffatto dai troppi rotoli alla marmellata divorati.
Il romanzo non sarebbe neanche male, pieno com'è di sapide descrizioni di toelette quotidiane, per cui apprendiamo come ci si deve vestire per un funerale, per una visita, per uscire dopo una certa ora, quali gioielli è opportuno indossare dopo un lutto e via discorrendo.
Il problema è un altro: la noia. Eh sì, perché un romanzo giallorosa, con pretese di eleganza, non può tirare in lungo le cose per ben sedici capitoli senza che accada praticamente nulla, per poi sciogliere l'enigma nelle ultime pagine, senza suscitare un minimo di interesse in chi legge.
Visù, infatti, è una protagonista di rara inconsistenza ed antipatia, tutta compresa nel suo ruolo di principessa cui tutto è dovuto, anche un po' scioccherella, che mostra il proprio acume solo nelle ultime pagine. Tutti
i comprimari sono più simpatici di lei, perfino il defunto generale Bagshot, caduto ingloriosamente vittima di un boccone di pasticcio di piccione avvelenato. Per completare il quadro, Visù ha anche un innamorato di scorta, il povero dottor Henderson, depresso addetto alla salute di tutte le cariatidi che abitano la sontuosa succursale di Downton Abbey dove vive la nostra miss Marple dei quartieri alti. Il giovane seguace di Ippocrate le prova tutte per farsi notare dall'aristocratica detective, perfino brutalizzandosi le chiome in improbabili e rudimentali messe in piega sormontate da cappelli altrettanto improponibili, con risultati non pervenuti.
Vorrei soffermarmi sul nome della protagonista: il soprannome di Visù, ci viene spiegato, le è stato dato dal padre, perché da bambina amava affondare il viso nelle pellicce di visone della madre (e qui la mia sensibilità animalista ha avuto un sussulto, unito ad un'insopprimibile voglia di versare dell'arsenico nel tè della principessa).
Peccato che nell'originale il soprannome fosse Minky, da Minks, visone, appunto.
Vorrei quindi fare una comunicazione alla traduttrice e alla casa editrice: l'inglese è arrivato anche qui, sapete? Perfino nelle profonde plaghe dove allignano orde di casalinghe di Voghera esistono i vocabolari, perciò non è necessario insultare l'intelligenza di chi legge con ridicole traduzioni al limite del contorsionismo linguistico.
Minky-Visù risolve dunque il dilemma senza nemmeno scomporsi le vesti pregiate, salvando la propria governante e suscitando l'ammirazione del dottorino innamorato, che finalmente riuscirà a strapparle qualcosa di più di un'occhiata distratta. La principessa promette quindi nuove tediose avventure, meditando di lanciarsi nella professione di investigatrice a pagamento. Tanto, che ci vuole?
Peccato, il romanzo era partito con le migliori premesse, a tratti è anche gradevole, ma induce nella lettrice una tale noia che finirlo è un'impresa.
Il personaggio più simpatico? Albert, la scimmietta di Visù, che peraltro non appare che all'inizio e alla fine del romanzo. O forse proprio per questo!
Da un po' di tempo, i miei amati romance mancano di mordente, per cui si spazia verso altri generi in cerca di perdute emozioni. La scelta è caduta su un libro che, a mio giudizio, si è rivelato insulso come un tè senza nè zucchero nè limone. E nemmeno latte.
Il romanzo in questione si intitola "Il mistero dei giardini di Hampton Court" , opera seconda di Julia Stuart.
Il titolo italiano è già tutto un programma, visto che si tratta di un'evidente scopiazzatura del titolo del film " I misteri dei giardini di Compton House"; l'originale infatti è "The pigeon pie mistery".
La trama in breve: Alexandrina, detta Visù, è la figlia del Maraja del Punjab e di una donna inglese. Con la famiglia ha sempre vissuto in Inghilterra, a spese della corona, in quanto il padre è un un alleato della regina. A seguito della morte improvvisa del padre,( la madre è morta da anni) Alexandrina si ritrova senza un soldo e la regina Vittoria le concede di abitare in un appartamento nel palazzo di Hampton Court, residenza riservata a nobili decaduti e privi di mezzi. Visù vi si trasferisce insieme a Pooki, la governante indiana; non ha altra scelta, visto che è stata abbandonata da tutti, compreso l'uomo che doveva sposare....
Nel palazzo vive una serie di figure assolutamente sopra le righe, tutte persone ex facoltose neo bisognose, che vivono in questo microcosmo che riproduce in piccolo le grandiosità e le grettezze dell'alta società inglese di epoca vittoriana.
Il romanzo prende tinte gialle quando durante una festa uno degli ospiti del palazzo muore dopo aver mangiato una generosa dose di pasticcio di piccione, cucinato dalla fedele Pooki; le cose non si mettono bene per la povera governante e Visù si improvvisa quindi investigatrice, per salvare la poveretta. La principessa decaduta si getta perciò nel mondo del crimine, ostacolata da mille convenzioni sociali e, oltretutto, dalla fama del padre, morto in maniera assolutamente vergognosa, nel letto dell'amante, sopraffatto dai troppi rotoli alla marmellata divorati.
Il romanzo non sarebbe neanche male, pieno com'è di sapide descrizioni di toelette quotidiane, per cui apprendiamo come ci si deve vestire per un funerale, per una visita, per uscire dopo una certa ora, quali gioielli è opportuno indossare dopo un lutto e via discorrendo.
Il problema è un altro: la noia. Eh sì, perché un romanzo giallorosa, con pretese di eleganza, non può tirare in lungo le cose per ben sedici capitoli senza che accada praticamente nulla, per poi sciogliere l'enigma nelle ultime pagine, senza suscitare un minimo di interesse in chi legge.
Visù, infatti, è una protagonista di rara inconsistenza ed antipatia, tutta compresa nel suo ruolo di principessa cui tutto è dovuto, anche un po' scioccherella, che mostra il proprio acume solo nelle ultime pagine. Tutti
i comprimari sono più simpatici di lei, perfino il defunto generale Bagshot, caduto ingloriosamente vittima di un boccone di pasticcio di piccione avvelenato. Per completare il quadro, Visù ha anche un innamorato di scorta, il povero dottor Henderson, depresso addetto alla salute di tutte le cariatidi che abitano la sontuosa succursale di Downton Abbey dove vive la nostra miss Marple dei quartieri alti. Il giovane seguace di Ippocrate le prova tutte per farsi notare dall'aristocratica detective, perfino brutalizzandosi le chiome in improbabili e rudimentali messe in piega sormontate da cappelli altrettanto improponibili, con risultati non pervenuti.
Vorrei soffermarmi sul nome della protagonista: il soprannome di Visù, ci viene spiegato, le è stato dato dal padre, perché da bambina amava affondare il viso nelle pellicce di visone della madre (e qui la mia sensibilità animalista ha avuto un sussulto, unito ad un'insopprimibile voglia di versare dell'arsenico nel tè della principessa).
Peccato che nell'originale il soprannome fosse Minky, da Minks, visone, appunto.
Vorrei quindi fare una comunicazione alla traduttrice e alla casa editrice: l'inglese è arrivato anche qui, sapete? Perfino nelle profonde plaghe dove allignano orde di casalinghe di Voghera esistono i vocabolari, perciò non è necessario insultare l'intelligenza di chi legge con ridicole traduzioni al limite del contorsionismo linguistico.
Minky-Visù risolve dunque il dilemma senza nemmeno scomporsi le vesti pregiate, salvando la propria governante e suscitando l'ammirazione del dottorino innamorato, che finalmente riuscirà a strapparle qualcosa di più di un'occhiata distratta. La principessa promette quindi nuove tediose avventure, meditando di lanciarsi nella professione di investigatrice a pagamento. Tanto, che ci vuole?
Peccato, il romanzo era partito con le migliori premesse, a tratti è anche gradevole, ma induce nella lettrice una tale noia che finirlo è un'impresa.
Il personaggio più simpatico? Albert, la scimmietta di Visù, che peraltro non appare che all'inizio e alla fine del romanzo. O forse proprio per questo!
Maro'... no no no questo proprio non lo leggo, non fa per me in nessun caso e non ho neppure la curiosità di sapere come scrive l'autrice!
RispondiEliminaEvvai di Malelingue Lucillaaaa
A tratti è carino, l'ho detto, ma è troppo vacuo, le investigazioni praticamente non esistono e lo scioglimento dell'enigma arriva quasi per caso. Un'occasione sprecata, appunto, un vero peccato.
RispondiEliminaSarà per le note affinità con Lucilla, ma anche a me, leggendo la recensione, sorge il sospetto di un romanzo che poteva essere interessante...e invece finisce in consommé. Adoro le ricostruzioni d'ambiente, sono vittoriana inside, il coloniale m'ispira...ma, suvvia, un pizzico di sapore è ineludibile...possibile che spesso si passi da un estremo all'altro? Ovvero, da romanzi con intreccio corposo e trama tosta, ma labili nell'ambientazione, a scenografie fascinose davanti alle quali, però, succede poco?
RispondiEliminaPat
Il futuro dell'editoria sarà forse nelle collaborazioni? Un maestro dell'intreccio che scrive insieme ad un insuperabile conoscitore di ambienti? Chissà....
RispondiEliminaVery thoughtful bloog
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