Carissime amiche,
dopo una piccola pausa, eccoci arrivate all’appuntamento settimanale con “Le nuove penne”.
Oggi
incontriamo Laura Alberico. Il suo racconto non parla di una classica
storia d’amore, ma piuttosto di una coppia che è arrivata al capolinea e
di una donna che si ritrova a dover compiere una dura scelta.
Può
sembrare semplicemente una storia triste, ma in realtà racchiude dentro
di sé un forte messaggio di speranza. E’ un brano molto veritiero, che
tratta di argomenti quotidiani e che ci insegna che l’amore vince sempre
su tutto, anche nei momenti più bui ci aiuta a rialzarci.
Ora
però non vi dico altro..;) Come sempre vi lascio alla lettura del
racconto e…. Non dimenticatevi di lasciare il vostro commento!!!;)
SereJane
Vi
ricordo inoltre che noi bloggerine siamo sempre alla caccia di nuove
scrittrici in erba, quindi penna alla mano!! Non abbiate timore e
inviateci i vostri raccontini! Siamo sempre felicissime di leggerli e di
poterli condividere con le nostre amiche!;)
Eccovi il link dove trovare le istruzioni per mandarci il vostro racconto: LINK
L’assoluzione di Laura Alberico
“ La
porta dell’avvenire sta per aprirsi. Lentamente. Implacabilmente. Io
sono sulla soglia. C’è soltanto questa porta e ciò che v’è nascosto
dietro. Ho paura. E non posso chiamare nessuno in aiuto. Ho paura.” ( Una donna spezzata- Simone De Beauvoir )
Erano
anni che avrebbe voluto recidere il cordone ombelicale che la legava
all’uomo che le viveva accanto. Sotto lo stesso tetto Anna aveva visto
trasformare l’entusiasmo e l’amore in indifferenza e rifiuto. Un senso
di impotenza che l’accompagnava ogni giorno e che diventava un conto
alla rovescia, come per un soldato in attesa del congedo. Croci su croci
nella sua mente chiudevano e aprivano all’improvviso pensieri di
evasione, l’impossibile cambiamento di una situazione ormai stabilizzata
e cronica., come una malattia senza cura. Era malata di libertà e i
suoi pensieri erano rimasti al riparo dal presente, l’unica oasi di pace
e di vera consapevolezza e autonomia. Lei che credeva fortemente nella
vita desiderava la morte, come il motto latino “ mors tua vita mea”. Il
gioco del destino in cui si trovava spesso a spiegare il significato di
gesti e parole le aveva suggerito regole e comportamenti di
sopravvivenza, binari sui quali correvano o rallentavano treni carichi
di apparente normalità. E i giorni passavano, così senza sussulti,
fermate obbligate per rifornimento di coraggio e di speranza. Si, perché
nonostante tutto i desideri erano la sua linfa vitale, crescevano forti
e rigogliosi, piante dalle radici nodose che riuscivano a sollevare il
terreno e a destabilizzare la linea diritta della sua vita. Giorni
confusi ma segnati da un unico costante desiderio, quello di aspettare
il momento giusto per dire basta.
Quella
sera Paolo tornò a casa stanco e si buttò sul letto, si sentiva male e
aveva un forte dolore al petto, anche la respirazione era diventata
difficoltosa. Anna cercò di rintracciare il medico curante ma non ci
riuscì e vedendo che la situazione peggiorava chiamò l’ambulanza. Di lì a
poco sentì la sirena avvicinarsi sempre di più, come un grido soffocato
finalmente libero di sferzare l’aria. In ospedale non dissero niente
per ore ed ore, abbandonata su una sedia vedeva sfilare davanti a sé
tutti i mali del mondo, lamenti e sguardi fissi, senza uno spiraglio di
vitalità. L’umanità ferita nel fisico le procurava un senso di nausea e
di rifiuto. Lei voleva vivere ancora.
Quando
il dottore si affacciò nell’atrio lo sguardo di Anna era assonnato e
perso. In quelle ore di attesa aveva ripercorso la sua vita e il passato
le sembrava un macigno sul cuore, un peso insopportabile dal quale
liberarsi al più presto. Riconobbe negli occhi del medico un’aria seria e
distaccata ma anche un tentativo mal riuscito di controllare le proprie
emozioni. Le parole che ascoltò sembravano provenire da molto lontano,
una cantilena lenta e monotona, un suono incolore come le pareti e gli
oggetti che la circondavano in quella asettica stanza. I sensi erano
ovattati come lo erano i suoi sentimenti in quel preciso istante. Era
sola, come si è soli quando si nasce o si ritorna a nuova vita dal coma.
Il buio e poi una luce improvvisa, forte e lacerante lama che impedisce
agli occhi di aprirsi. Il sogno e la realtà diventavano due facce di
una stessa medaglia, entrambe come finestre sul passato e sul presente
offrivano spiragli di luce e occhi finalmente liberi di guardare oltre.
E’ strano come la morte possa chiamare a sé una nuova vita, risvegliare
il desiderio di cambiamento, risanare le ferite del corpo e della mente
che in tanti anni non aveva mai curato e che aveva nascosto a tutti per
pudore. L’impotenza e la solitudine, il dolore consumato come pane
quotidiano chiedevano giustizia e riscatto, rispetto e possibilità di
trasformare un destino già segnato. Davanti al tribunale che aveva
alzato come altare sacrificale nella sua fantasia i desideri diventavano
misteri dolorosi dei grani di un rosario recitato ossessivamente ogni
giorno. Il giudice speciale, quello che comprende e consola, guida e
accompagna la vita e la morte, avrebbe decretato la sua assoluzione,
spalancandole le porte di una nuova vita in cui l’amore vince sempre con
il coraggio e la forza, simboli di una giustizia vera.
Un saggio doloroso che esamina un percorso difficile e molto umano, una scrittura lineare eppure matura; il dolore sublimato nell'ulteriore dolore di una possibile rinascita. Davvero una bella prova, cara Laura, molto sentita e niente affatto banale o scontata. I miei complimenti, mi e'piaciuto davvero tanto!
RispondiEliminaCiao
Lucilla
Il racconto è bello, anche se fuori dai soliti canoni "rosa", ma nell'amore ci sono mille sfumature (non solo le 50) dove la realtà quotidiana non è sempre il massimo. Il linguaggio è ricercato anche se alcune volte dei concetti e dei pensieri della protagonista non appaiono del tutto chiari a chi legge. Alcune imprecisioni di punteggiatura appesantiscono i periodi più lunghi, ma nell'insieme senz'altro un buon racconto.
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