Carissime
amiche, dopo la pausa riprendiamo il nostro consueto appuntamento con
le “Nuove penne”. Il freddo si sta avvicinando e che cosa c’è di meglio
di una storia d’amore che ci riscaldi il cuore?
Oggi
è la volta di Emiliana De Vico. Il racconto parla di un tema a noi
molto noto, quello dei matrimoni combinati. La protagonista, Elisa, è
infatti innamorata di Antonio ma è costretta dalla famiglia a sposare un
altro uomo.
Come
ben sappiamo molte donne sono state e sono tutt’ora vittime di questo
destino. Che cosa farà la nostra Elisa? Si piegherà al volere dei
genitori, continuando a sognare l’amore di un uomo che le è negato
oppure smuoverà mari e monti per vivere la sua vita come vorrebbe?
Lo scoprirete solo leggendo!;)
Quindi buona lettura e non dimenticate di lasciare il vostro commento!!!!
SereJane
P.s. Vi
ricordo inoltre, per chi ancora non lo avesse fatto, che siete sempre
in tempo a mandarci i vostri racconti! Noi siamo sempre felicissime di
leggerle e di condividerli con le nostre amiche! Seguite le istruzioni: LINK
Il trabocco di Emiliana De Vico
–
Torna da me – sussurrò alla pioggia che le bagnava il volto proteso
verso l’alto. Sulle labbra, che non smettevano di recitare una
preghiera, mille granelli di sabbia sospinti dal vento. L’aroma di
donna, mescolato con quello della speranza, aleggiava all’interno del
trabocco, dove lei vegliava sul mare agitato. Elisa inspirò a fondo,
sperando che la vita tornasse da lei. Sentiva la coscienza forzare lo
spazio e il tempo, per raggiungere l’imbarcazione salpata ormai da un
mese, insieme ad una piccola flotta di pescherecci. Tutte erano
all’ormeggio, tranne una. Gli occhi arrossati erano fissi in quella
notte senza luna. Percepiva l’odore del suo uomo, misto a quello così
familiare del mare, avvolgerle il cuore in un morbido abbraccio fatto di
cascemir. Il trabocco si proiettava sull’acqua rombante come una
finestra sul mondo liquido e spumoso, avvicinandola a lui. Sentì lo
sbatacchiare delle reti ancora appese ai sostegni, il suono e gli
scricchiolii del legno le riempivano le orecchie, ma non sfioravano la
sua concentrazione. Gli occhi lucidi come l’ebano laccato, percorsero
mille e mille volte l’orizzonte. Ogni notte si recava sul trabocco e
aspettava. Se poi un temporale rumoreggiava forte, innalzava una
preghiera al Signore, alzando il tono della voce per sovrastare il
fragore dei venti, stretta in uno scialle consunto e troppo sottile per
proteggerla. Ma quella era l’ultima notte, poi avrebbe dovuto
abbandonare la veglia, anche se mai avrebbe smesso di pregare per lui.
Strinse le mani a pugno contro il petto, vedendo anche nel buio il
luccichio dell’anello che le gravava sull’anulare sinistro. L’anello di
un altro. Il singhiozzo si librò da quel pontile, volando sul pelo
dell’acqua, in attesa di essere raccolto dall’uomo che tante promesse le
aveva lasciato. Promesse che il suo cuore aveva accettato. Promesse che
la sua mente aveva liquidato come impossibili. Le lacrime scesero lungo
le gote e la disperazione si concretizzò in un peso doloroso alla base
del costato. Il chiarore dell’alba stava arrivando, mentre una cantilena
la incatenava al pontile traballante. – Fai presto amore mio.
Il
porpora si mescolava al viola dell’alba per poi sfociare in un rosso
acceso tra le nuvole gonfie di pioggia, e ancora la barca di Antonio
fluttuava lontano. La veglia era giunta al termine, pensò piegando il
capo. Quello era il giorno del suo matrimonio con un uomo che non era
Antonio. Scelto dalla sua famiglia e imposto al suo corpo come di
consuetudine per le giovani in età da marito. Ma la sua anima sarebbe
stata di quel marinaio che col canto l’aveva stregata. Tremò sotto il
peso dei ricordi, mentre con gli occhi della mente, lo vedeva seduto sul
molo a cucire le reti strappate, e cantava per lei. Morì pensando di
non poter più udire la sua voce. Di non gustare più le labbra saporite
spaccate dal sole e dalla salsedine. Si avvicinò ai pilastri di legno e
guardò l’acqua schiumante. Un’idea lampeggiò dall’inconscio che sapeva
che quella barca veleggiava in lidi irraggiungibili. – E se venissi io
da te? – chiese al cielo venato di colori troppo sgargianti per un
giorno così triste. Si portò sul bordo della piattaforma e chiuse gli
occhi contro gli spumosi che giungevano fino al tetto. Liberò il dito
dal peso dell’anello facendolo scivolare nel nulla. Cantò mentre si
lasciava scivolare verso quell’acqua che le aveva preso il futuro.
Gridò, quando un incubo la face boccheggiare tra le onde delle lenzuola.
–Tesoro ancora brutti sogni?
Elisa annuì stringendosi al corpo del marito, cercandone il calore e trovando la pace.
– Sono con te, non temere. – Marco la trattenne.
Elisa
cedette al destino. Impresse un bacio sulle linee dei muscoli,
inspirando forte l’aroma di uomo e … salsedine? Per un attimo l’odore
così familiare del mare le inondò le narici, come se fosse ancora sul
bordo del trabocco. Chiuse gli occhi vedendo la pelle cotta dal sole di
un marinaio, ormai perso per sempre. – Vorrei tornare a casa – disse in
un soffio, sapendo già che non poteva far ritorno al luogo che l’aveva
vista sprofondare anima e corpo.
–
Un giorno tornerai, ma non ora – quella era la risposta che Marco le
dava da anni. Aveva ragione. Casa significava trabocco, e trabocco a sua
volta disperazione. Il passo era davvero breve tra disperazione e
Antonio. Si girò nel cerchio sicuro di quelle braccia che anni prima
l’avevano salvata. Non aveva mai raggiunto le onde fresche
dell’Adriatico, sotto i ponteggi dei trabocchi, né le rocce scure degli
scogli. Si era impigliata alle reti, restando sospesa tra le funi
odorose di pesce e sale, ingarbugliata tanto quanto la sua anima era
libera da costrizioni. Marco era arrivato salvandola col profumo di
resina di pino, tanto in disaccordo con gli odori del mare.
Di
notte, ancora oggi, recitava una preghiera al cielo. Eppure ora il suo
cuore era in pace, lontano dal mare, dal trabocco e dall’attesa. Era tra
le dita di quell’uomo di montagna che l’avrebbe tenuta al caldo e al
riparo, tra i sentori del bosco, e che mai l’avrebbe lasciata per il
dolce richiamo del mare che ancora le cantava nelle vene.
Emiliana De Vico
Bellissimo....non posso dire altro. Una penna nuova ma già matura, un racconto dolente, triste di quella tristezza lontana propria di chi ha perso un amore e lo rimpiange ancora nonostante abbia trovato pace e consolazione. Le rose che non colsi....
RispondiEliminaspero di leggere altro di quest'autore, che credo andrà lontano.
Ciao
Lucilla
Grazie delle belle parole Lucilla. E un ringraziamento sentito al Blog che ha accolto con generosità questo mio primo tentativo di scrittura.
RispondiEliminaEmiliana
Solo la verità, Emiliana, una bellissima prova, ti auguro di andare avanti.
RispondiEliminaLucilla
Molto coinvolgente... continua così Emilana!
RispondiEliminaMolto coinvolgente, dolce e tenero al contempo.
RispondiEliminaComplimenti!
TerryMel