Ringraziamo Mondolibri per averci dato un incipit del nuovo romanzo di J.R.Ward Un Amore Infuocato.
Proprietà letteraria riservata.
Pubblicato su licenza © 2011 Mondadori Direct S.p.A.per Mondolibri, Milano"
Capitolo 1
«Il re deve morire.»
Quattro paroline piccole piccole. Prese una per una non erano
niente di speciale, ma insieme richiamavano ogni sorta di nefandezza:
Assassinio. Alto tradimento. Regicidio.
Morte.
Negli istanti carichi di tensione immediatamente successivi, Rehvenge
rimase in silenzio, lasciandole aleggiare nell’aria opprimente
dello studio, quattro punti cardinali di una bussola oscura e malefica
che conosceva molto bene.
«Non dici niente?» chiese Montrag, figlio di Rehm.
«No.»
Montrag batté le palpebre, giocherellando col foulard di seta
annodato al collo. Al pari di quasi tutti i membri della glymera,
aveva le pantofole di velluto ben piantate sulla sabbia finissima
della sua classe sociale, il che significava che era molto signorile e
raffinato. Con la sua giacca da camera, gli eleganti pantaloni gessati
e – oh, cavolo, ma erano proprio ghette, quelle? – sembrava
uscito dalle pagine di Vanity Fair. Di cent’anni fa, tipo. E con tutta
la sua boria e le sue idee brillanti del cazzo era come Kissinger
senza un presidente, quando si trattava di politica. Tutto analisi e
nessuna autorità.
Il che spiegava quell’incontro, no?
«Non fermarti proprio adesso», lo incoraggiò Rehv. «Sei già saltato
giù dal tetto. L’atterraggio non potrà essere in alcun modo più
dolce.»
Montrag si accigliò. «Mi riesce difficile vedere la situazione con
la tua leggerezza.»
«E chi sta ridendo?»
Qualcuno bussò alla porta dello studio e Montrag voltò la testa
di lato; aveva il profilo di un setter irlandese: tutto naso.
«Avanti.»
La doggen che ubbidì al comando fece il suo ingresso curva sotto
il peso del servizio d’argento. Reggendo un vassoio di ebano grande
come una veranda, attraversò faticosamente la stanza col suo carico.
Finché non alzò la testa e vide Rehv.
Allora rimase di sasso.
«Il tè lo prendiamo qui.» Così dicendo, Montrag indicò il basso
tavolino tra i due sofà foderati di seta su cui erano seduti. «Qui.»
La doggen non si mosse, gli occhi fissi sul volto di Rehv.
«Si può sapere cosa ti prende?» fece Montrag, mentre sul vassoio
le tazze cominciavano a tremare tintinnando. «Posa qui il tè,
sbrigati.»
La doggen chinò il capo, farfugliò qualcosa e avanzò lentamente,
un passo dopo l’altro, neanche si stesse avvicinando a un serpente
pronto a colpire. Tenendosi il più lontano possibile da Rehv, posò
il vassoio, e con mani tremanti, riuscì a stento a sistemare le tazze
sui piattini.
Quando fece per afferrare la teiera era ormai chiaro che avrebbe
rovesciato tè dappertutto.
«Lascia, faccio io», si offrì Rehv, allungando una mano.
Nel ritrarsi bruscamente, la doggen perse la presa sul manico
della teiera, che precipitò in caduta libera.
Rehv afferrò con entrambe le mani l’argento rovente.
«Ma cosa combini!» esclamò Montrag, balzando su dal divano.
La doggen si fece piccola piccola, coprendosi il volto con le
mani. «Mi dispiace, padrone. Davvero, sono…»
«Oh, sta’ zitta, e portaci del ghiaccio…»
«Non è colpa sua.» Con tutta calma Rehv spostò la presa sul
manico e versò il tè. «Io sto benissimo.»
Gli altri due lo fissarono come in attesa di vederlo saltar su, agitando
la teiera colma al grido di ahia-ahia-ahia.
Rehv invece posò la teiera d’argento e, guardando Montrag negli
occhi slavati, chiese, «Una zolletta o due?»
«Vuoi… vuoi che ti faccia portare qualcosa per quell’ustione?»
Rehv sorrise, mostrando per un attimo le zanne al padrone di
casa. «Sto benissimo, grazie.»
Apparentemente offeso perché non poteva fare nulla, Montrag
rivolse la sua stizza contro la cameriera. «Sei un disastro. Lasciaci
soli.»
Rehv lanciò un’occhiata alla doggen. Le emozioni della giovane
gli apparivano come una griglia tridimensionale di paura, vergogna
e panico, una fitta trama che riempiva lo spazio intorno a lei,
esattamente come le ossa, i muscoli e la pelle.
Stai tranquilla, le comunicò tramite il pensiero. Sistemo tutto io.
Sul volto di lei si dipinse un barlume di sorpresa, ma le spalle
si rilassarono e, quando si voltò, appariva molto più distesa.
Una volta uscita la cameriera, Montrag si schiarì la gola rimettendosi
a sedere. «Non credo che potrà mai migliorare. È assolutamente
incapace.»
«Cominciamo con una», disse Rehv lasciando cadere una zolletta
di zucchero nel tè. «Poi vediamo se ne vuoi un’altra.»
Allungò la tazza, ma non troppo, così Montrag fu costretto ad
alzarsi di nuovo dal divano e protendersi sopra il tavolino.
«Grazie.»
Tenendo stretta la tazza, Rehv indusse un cambiamento nella
mente del padrone di casa. «Le femmine si innervosiscono sempre,
con me. Non è stata colpa sua.»
Poi, all’improvviso, mollò la presa e Montrag arrancò per non
lasciarsi sfuggire di mano la sua Royal Doulton.
«Oops, attento a non rovesciare», disse Rehv, accomodandosi di
nuovo sul divano. «Sarebbe un vero peccato macchiare questo bel
tappeto. Aubusson, giusto?»
«Ehm… sì.» Montrag si sedette di nuovo, accigliato, quasi non
riuscisse a spiegarsi perché tutt’a un tratto avesse cambiato idea
sulla sua cameriera. «Ehm… sì, esatto. Mio padre lo acquistò molti
anni fa. Aveva un gusto squisito, vero? Abbiamo fatto costruire
questa stanza apposta per il tappeto, perché è grandissimo, e il colore
delle pareti è stato scelto espressamente per dare risalto alle
tonalità del pesca.»
Montrag si guardò intorno nello studio, sorridendo tra sé mentre
sorseggiava il tè, il mignolo alzato per aria come una bandiera.
«Com’è il tè?»
«Perfetto, ma tu non ne vuoi?»
«Non sono un gran bevitore di tè.» Rehv attese che l’altro si
portasse la tazza alle labbra. «Dunque, parlavi di assassinare
Wrath?»
Montrag sputacchiò l’Earl Grey, schizzando il davanti della
giacca da camera rosso sangue e macchiando lo splendido tappeto
di paparino.
Vedendolo tamponare fiaccamente le macchie con la mano,
Rehv gli porse un tovagliolo. «Ecco, usa questo.»
Montrag prese il quadrato damascato, si asciugò goffamente il
petto e poi fece altrettanto col tappeto, anche in questo caso senza
il minimo risultato. Evidentemente era il genere di maschio abituato
a sporcare, ma non a pulire.
«Dicevi?» mormorò Rehv.
Montrag buttò il tovagliolo sul vassoio e si alzò, lasciando perdere
il tè e cominciando a camminare su e giù. Si fermò di fronte a un grande paesaggio montano e parve ammirare la scena drammatica
col suo soldato coloniale intento a pregare rivolto al cielo.
«Lo sai, vero, che tanti nostri fratelli di sangue sono morti nel
corso degli attacchi dei lesser», disse, come rivolto al quadro.
«E io che credevo di essere stato nominato leahdyre del consiglio
solo in virtù della mia brillante personalità.»
Montrag lo guardò truce da sopra la spalla, il mento piegato nel
classico modo aristocratico. «Ho perso mio padre, mia madre e
tutti i miei cugini di primo grado. Li ho seppelliti a uno a uno.
Credi che sia stato piacevole?»
«Domando scusa.» Rehv si mise la mano destra sul cuore e chinò
la testa, anche se non gliene fregava un accidente. Non intendeva
lasciarsi manipolare dalla litania dei lutti, specie visto che le emozioni
dell’amico esprimevano avidità, e non sofferenza.
Montrag diede le spalle al dipinto e la sua testa prese il posto
della montagna su cui si ergeva il soldato coloniale… tanto che
l’omino in uniforme rossa sembrava stesse cercando di arrampicarsi
sul suo orecchio.
«La glymera ha subito perdite senza precedenti in quei raid.
Non solo in termini di vite, ma di beni materiali. Case depredate,
oggetti d’arte e d’antiquariato trafugati, conti bancari prosciugati.
E Wrath cos’ha fatto? Niente. Non ha mai dato risposta alle ripetute
richieste di chiarimento su come fossero state localizzate le
residenze di quelle famiglie… sul perché la confraternita non ha
fermato gli attacchi… su dove sono finiti tutti quei beni. Non esiste
un piano in grado di assicurarci che non succederà di nuovo,
nessuna garanzia che, rientrando a Caldwell, i pochi aristocratici
rimasti sarebbero al sicuro.» Montrag s’infervorò per davvero; la
sua voce, alzandosi, riecheggiò contro il soffitto dorato. «La nostra
razza si sta estinguendo e abbiamo bisogno di una vera guida.
Per legge, tuttavia, finché il cuore batterà nel petto di Wrath, il re
è lui. Ma la vita di uno solo vale le vite di tanti? Interroga il tuo
cuore.»
Oh, Rehv lo stava facendo eccome, stava guardando dentro quel
muscolo nero e malvagio. «E poi?»
«Poi assumiamo il controllo e facciamo ciò che è giusto. Durante
il suo mandato Wrath ha rivoluzionato le cose… Guarda
cosa ne è stato delle Elette. Adesso hanno il permesso di circolare
sulla Terra… inaudito! E la schiavitù è stata dichiarata fuori legge,
così come la sehclusion per le femmine. Beata Vergine Scriba, tra
un po’ nella confraternita ci sarà qualcuno con la sottana. Se prendiamo
il potere possiamo annullare ciò che Wrath ha fatto e legiferare
in modo adeguato al fine di preservare i vecchi usi e costumi.
Possiamo organizzare una nuova offensiva contro la Lessening
Society. Possiamo trionfare.»
«Stai usando un sacco di “possiamo”, al plurale, ma chissà perché
ho come l’impressione che non sia esattamente quello che hai
in mente.»
« Be’, naturalmente dovrà esserci una sorta di primo tra pari.»
Montrag lisciò i baveri della giacca assumendo l’atteggiamento di
chi sta posando per una statua di bronzo o per una banconota,
forse. «Una persona di valore e di grande levatura morale.»
«E in che modo verrà scelto questo modello di virtù?»
«Finalmente ci trasformeremo in una democrazia, attendiamo
da lunga pezza una democrazia che sostituirà l’ingiusta e iniqua
convenzione della monarchia…»
Mentre Montrag continuava col suo bla-bla, Rehv si mise comodo,
accavallò le gambe e unì la punta delle dita. Seduto sul soffice
divano del padrone di casa, le sue due metà entrarono in conflitto,
il vampiro si scontrò col symphath.
Con l’unico vantaggio che l’alterco in corso nel suo intimo sovrastò
il rumore di quello sproloquio nasale della serie “so tutto
io”. L’opportunità era evidente: sbarazzarsi del re e assumere il controllo
della razza.
L’opportunità era impensabile: uccidere un vampiro di valore,
un ottimo condottiero e… un amico, per certi versi.
«… e sceglieremmo chi deve guidarci, obbligandolo a rendere
conto del suo operato davanti al consiglio. Ci assicureremmo che
le nostre preoccupazioni trovino il dovuto riscontro.» Montrag
tornò verso il divano, si sedette e si mise comodo, quasi si apprestasse
a blaterare del futuro per ore. «La monarchia non funziona
e la democrazia è l’unico modo per…»
«Democrazia, in genere, significa che ciascuno ha il diritto di
votare», lo interruppe Rehv. «Nel caso ti sfugga la definizione.»
«E infatti sarebbe così. Tutti noi del consiglio faremmo parte
del comitato elettorale. Tutti avrebbero il diritto di votare.»
«Per tua informazione, tutti comprende giusto un paio di persone
in più oltre a “tutti quelli come noi”.»
Montrag gli scoccò un’occhiata carica di “oh per piacere sii serio”.
«Non mi dirai che vuoi affidare le sorti della razza alle classi
inferiori?»
«Non dipende da me.»
«Potrebbe.» Montrag si portò la tazza di tè alle labbra e lo
guardò al di sopra del bordo con occhi penetranti. «Potrebbe, assolutamente.
Tu sei il nostro leahdyre.»
Guardando Montrag, Rehv vide chiaramente tutto il percorso,
come se fosse lastricato e illuminato da potenti lampade alogene:
se Wrath veniva ucciso, la sua stirpe reale sarebbe finita perché
non aveva ancora avuto figli. Le società, in particolare quelle in
guerra come i vampiri, aborrono i vuoti di potere, perciò un cambiamento
radicale dalla monarchia alla “democrazia” non era impensabile
come sarebbe stato in un’altra epoca, più sana e più sicura.
I membri della glymera potevano anche essere fuori Caldwell,
nascosti nelle case sicure sparse in tutto il New England, ma
quel branco di decadenti figli di puttana aveva soldi e influenza
da vendere e da sempre voleva prendere il comando. Con quel
piano, ora finalmente potevano ammantare le loro ambizioni coi
panni della democrazia, fingendo di prendersi cura del popolino.
La natura oscura di Rehv era in fibrillazione, un criminale recluso
ansioso di ottenere la libertà vigilata: misfatti e giochi di potere
erano una pulsione innata per i suoi consanguinei e una parte
di lui voleva creare quel vuoto… per poi infilarcisi dentro.
«Risparmiami la propaganda», disse interrompendo le presuntuose
farneticazioni di Montrag. «Cosa suggerisci, esattamente?»
L’altro fece gran mostra di posare con cautela la tazza di tè,
quasi stesse scegliendo con cura le parole. Figurarsi. Montrag sapeva
perfettamente cosa stava per dire, Rehv era pronto a scommetterci.
Quello non era il tipo di cosa che si può improvvisare
così, sui due piedi, e altri ne erano al corrente. Per forza.
«Come ben sai, il consiglio deve riunirsi tra un paio di giorni a
Caldwell proprio per avere udienza col re. Wrath arriverà e… si
verificherà un evento mortale.»
«Wrath è sempre scortato dai fratelli, non esattamente il genere
di ostacolo facile da aggirare.»
«La morte ha molte maschere. E può esibirsi su molti palcoscenici
diversi.»
«E il mio ruolo sarebbe…?» Anche se già lo sapeva.
Gli occhi chiari di Montrag erano come il ghiaccio, gelidi e luminescenti.
«So che tipo sei. Dunque so esattamente di cosa sei
capace.»
Non era una sorpresa. Da venticinque anni Rehv era un boss
della droga e, pur non avendo mai sbandierato la sua occupazione
davanti ai membri dell’aristocrazia, i vampiri frequentavano regolarmente
il suo club e in parecchi ingrossavano le file dei suoi
clienti “chimici”.
Nessuno, tranne i fratelli, sapeva del suo lato symphath… e, potendo
scegliere, Rehv l’avrebbe tenuto nascosto anche a loro. Negli
ultimi vent’anni aveva pagato profumatamente la sua ricattatrice
per mantenere il segreto.
«Ecco perché mi rivolgo a te», concluse Montrag. «So che sei
in grado di gestire la faccenda.»
«Verissimo.»
«In quanto leahdyre del consiglio ricopriresti una posizione di
enorme potere. Anche se non verrai eletto presidente, il consiglio
dovrà starti a sentire. E lascia che ti rassicuri sulla Confraternita
del Pugnale Nero. So che tua sorella è sposata con uno dei suoi
membri. I fratelli non subiranno conseguenze.»
«Non pensi che la cosa li farà incazzare? Wrath non è solo il
re. È anche uno di loro.»
«Proteggere la nostra razza è il loro mandato primario. Ovunque
andiamo noi, loro devono seguirci. E sappi che in molti pensano
che ultimamente stanno facendo un pessimo lavoro. Ritengo
che forse avrebbero bisogno di una guida migliore.»
«Da parte tua. Giusto. Naturale.»
Sarebbe stato come affidare il comando di una divisione blindata
a un arredatore: un fracco di chiacchiere vuote finché uno dei soldati
avrebbe messo a tacere per sempre quell’incapace mezzacalzetta.
Proprio un piano coi fiocchi. Altro che.
E tuttavia… chi diceva che Montrag dovesse essere il presidente
eletto? Gli incidenti possono capitare ai re come agli aristocratici.
«Devo dirti», riprese Montrag, «come mi diceva sempre mio padre,
che la tempistica è tutto. Dobbiamo procedere senza indugio.
Possiamo contare su di te, amico mio?»
Rhev si alzò in piedi, torreggiando sull’altro vampiro. Con una
rapida tiratina ai polsini della giacca, si raddrizzò il completo Tom
Ford prima di afferrare il bastone. Non aveva la minima percezione
del proprio corpo, non sentiva niente: né i vestiti né il peso
che passava dal fondoschiena alle piante dei piedi o il manico del
bastone nel palmo ustionato. L’intorpidimento era un effetto collaterale
del farmaco che utilizzava per impedire al suo lato malefico
di emergere in presenza di chi symphath non era, la prigione
in cui rinchiudeva i suoi impulsi da sociopatico.
Gli bastava saltare una dose per tornare al suo stato naturale,
però. Nel giro di un’ora il male che c’era in lui si ridestava, pronto
a entrare in gioco.
«Allora, cosa ne dici?» lo incalzò Montrag.
Bella domanda.
A volte nella vita, tra la miriade di decisioni banali come cosa
mangiare, dove dormire e come vestirsi, ci si presenta un vero e
proprio bivio. In questi momenti, quando la nebbia della relativa
irrilevanza si dirada e il fato ci impone di far ricorso al libero arbitrio,
si può solo decidere di andare a destra o a sinistra… non
c’è modo di infilarsi nel sottobosco tra i due sentieri, a bordo di
un fuoristrada, nessuna possibilità di scendere a patti col dilemma
che ci troviamo davanti.
Bisogna rispondere all’appello e fare la propria scelta. Senza possibilità
di invertire la rotta.
Naturalmente il problema era che muoversi all’interno di uno
scenario morale era qualcosa che Rehv aveva dovuto imparare da
autodidatta per mimetizzarsi tra i vampiri. Aveva appreso la lezione,
sì, ma solo fino a un certo punto.
E le droghe che assumeva funzionavano solo così così.
D’un tratto il volto pallido di Montrag si colorò di sfumature
sul rosa pastello, i suoi capelli scuri divennero blu magenta e la
giacca da camera color ketchup. Mentre tutto si tingeva di rosso,
il campo visivo di Rehv si appiattì, mostrandogli il mondo come
su uno schermo cinematografico.
Il che, forse, spiegava perché per i symphath era così facile usare
le persone. Quando il suo lato oscuro prendeva il sopravvento, l’universo
aveva la profondità di una scacchiera e i suoi abitanti erano
pedine per la sua mano onnisciente. Nessuno escluso. Nemici… e
amici.
«Ci penso io», dichiarò Rehv. «Come hai detto tu, so cosa fare.»
«La tua parola.» Montrag tese il palmo liscio. «Dammi la tua
parola che tutto avverrà nella massima segretezza.»
Rehv lasciò pendere quella mano per aria, ma sorrise, rivelando
ancora una volta le zanne. «Fidati di me.»
E il resto lo leggerete presto dalla vostra copia del romanzo!
Proprietà letteraria riservata.
Pubblicato su licenza © 2011 Mondadori Direct S.p.A.per Mondolibri, Milano"
Capitolo 1
«Il re deve morire.»
Quattro paroline piccole piccole. Prese una per una non erano
niente di speciale, ma insieme richiamavano ogni sorta di nefandezza:
Assassinio. Alto tradimento. Regicidio.
Morte.
Negli istanti carichi di tensione immediatamente successivi, Rehvenge
rimase in silenzio, lasciandole aleggiare nell’aria opprimente
dello studio, quattro punti cardinali di una bussola oscura e malefica
che conosceva molto bene.
«Non dici niente?» chiese Montrag, figlio di Rehm.
«No.»
Montrag batté le palpebre, giocherellando col foulard di seta
annodato al collo. Al pari di quasi tutti i membri della glymera,
aveva le pantofole di velluto ben piantate sulla sabbia finissima
della sua classe sociale, il che significava che era molto signorile e
raffinato. Con la sua giacca da camera, gli eleganti pantaloni gessati
e – oh, cavolo, ma erano proprio ghette, quelle? – sembrava
uscito dalle pagine di Vanity Fair. Di cent’anni fa, tipo. E con tutta
la sua boria e le sue idee brillanti del cazzo era come Kissinger
senza un presidente, quando si trattava di politica. Tutto analisi e
nessuna autorità.
Il che spiegava quell’incontro, no?
«Non fermarti proprio adesso», lo incoraggiò Rehv. «Sei già saltato
giù dal tetto. L’atterraggio non potrà essere in alcun modo più
dolce.»
Montrag si accigliò. «Mi riesce difficile vedere la situazione con
la tua leggerezza.»
«E chi sta ridendo?»
Qualcuno bussò alla porta dello studio e Montrag voltò la testa
di lato; aveva il profilo di un setter irlandese: tutto naso.
«Avanti.»
La doggen che ubbidì al comando fece il suo ingresso curva sotto
il peso del servizio d’argento. Reggendo un vassoio di ebano grande
come una veranda, attraversò faticosamente la stanza col suo carico.
Finché non alzò la testa e vide Rehv.
Allora rimase di sasso.
«Il tè lo prendiamo qui.» Così dicendo, Montrag indicò il basso
tavolino tra i due sofà foderati di seta su cui erano seduti. «Qui.»
La doggen non si mosse, gli occhi fissi sul volto di Rehv.
«Si può sapere cosa ti prende?» fece Montrag, mentre sul vassoio
le tazze cominciavano a tremare tintinnando. «Posa qui il tè,
sbrigati.»
La doggen chinò il capo, farfugliò qualcosa e avanzò lentamente,
un passo dopo l’altro, neanche si stesse avvicinando a un serpente
pronto a colpire. Tenendosi il più lontano possibile da Rehv, posò
il vassoio, e con mani tremanti, riuscì a stento a sistemare le tazze
sui piattini.
Quando fece per afferrare la teiera era ormai chiaro che avrebbe
rovesciato tè dappertutto.
«Lascia, faccio io», si offrì Rehv, allungando una mano.
Nel ritrarsi bruscamente, la doggen perse la presa sul manico
della teiera, che precipitò in caduta libera.
Rehv afferrò con entrambe le mani l’argento rovente.
«Ma cosa combini!» esclamò Montrag, balzando su dal divano.
La doggen si fece piccola piccola, coprendosi il volto con le
mani. «Mi dispiace, padrone. Davvero, sono…»
«Oh, sta’ zitta, e portaci del ghiaccio…»
«Non è colpa sua.» Con tutta calma Rehv spostò la presa sul
manico e versò il tè. «Io sto benissimo.»
Gli altri due lo fissarono come in attesa di vederlo saltar su, agitando
la teiera colma al grido di ahia-ahia-ahia.
Rehv invece posò la teiera d’argento e, guardando Montrag negli
occhi slavati, chiese, «Una zolletta o due?»
«Vuoi… vuoi che ti faccia portare qualcosa per quell’ustione?»
Rehv sorrise, mostrando per un attimo le zanne al padrone di
casa. «Sto benissimo, grazie.»
Apparentemente offeso perché non poteva fare nulla, Montrag
rivolse la sua stizza contro la cameriera. «Sei un disastro. Lasciaci
soli.»
Rehv lanciò un’occhiata alla doggen. Le emozioni della giovane
gli apparivano come una griglia tridimensionale di paura, vergogna
e panico, una fitta trama che riempiva lo spazio intorno a lei,
esattamente come le ossa, i muscoli e la pelle.
Stai tranquilla, le comunicò tramite il pensiero. Sistemo tutto io.
Sul volto di lei si dipinse un barlume di sorpresa, ma le spalle
si rilassarono e, quando si voltò, appariva molto più distesa.
Una volta uscita la cameriera, Montrag si schiarì la gola rimettendosi
a sedere. «Non credo che potrà mai migliorare. È assolutamente
incapace.»
«Cominciamo con una», disse Rehv lasciando cadere una zolletta
di zucchero nel tè. «Poi vediamo se ne vuoi un’altra.»
Allungò la tazza, ma non troppo, così Montrag fu costretto ad
alzarsi di nuovo dal divano e protendersi sopra il tavolino.
«Grazie.»
Tenendo stretta la tazza, Rehv indusse un cambiamento nella
mente del padrone di casa. «Le femmine si innervosiscono sempre,
con me. Non è stata colpa sua.»
Poi, all’improvviso, mollò la presa e Montrag arrancò per non
lasciarsi sfuggire di mano la sua Royal Doulton.
«Oops, attento a non rovesciare», disse Rehv, accomodandosi di
nuovo sul divano. «Sarebbe un vero peccato macchiare questo bel
tappeto. Aubusson, giusto?»
«Ehm… sì.» Montrag si sedette di nuovo, accigliato, quasi non
riuscisse a spiegarsi perché tutt’a un tratto avesse cambiato idea
sulla sua cameriera. «Ehm… sì, esatto. Mio padre lo acquistò molti
anni fa. Aveva un gusto squisito, vero? Abbiamo fatto costruire
questa stanza apposta per il tappeto, perché è grandissimo, e il colore
delle pareti è stato scelto espressamente per dare risalto alle
tonalità del pesca.»
Montrag si guardò intorno nello studio, sorridendo tra sé mentre
sorseggiava il tè, il mignolo alzato per aria come una bandiera.
«Com’è il tè?»
«Perfetto, ma tu non ne vuoi?»
«Non sono un gran bevitore di tè.» Rehv attese che l’altro si
portasse la tazza alle labbra. «Dunque, parlavi di assassinare
Wrath?»
Montrag sputacchiò l’Earl Grey, schizzando il davanti della
giacca da camera rosso sangue e macchiando lo splendido tappeto
di paparino.
Vedendolo tamponare fiaccamente le macchie con la mano,
Rehv gli porse un tovagliolo. «Ecco, usa questo.»
Montrag prese il quadrato damascato, si asciugò goffamente il
petto e poi fece altrettanto col tappeto, anche in questo caso senza
il minimo risultato. Evidentemente era il genere di maschio abituato
a sporcare, ma non a pulire.
«Dicevi?» mormorò Rehv.
Montrag buttò il tovagliolo sul vassoio e si alzò, lasciando perdere
il tè e cominciando a camminare su e giù. Si fermò di fronte a un grande paesaggio montano e parve ammirare la scena drammatica
col suo soldato coloniale intento a pregare rivolto al cielo.
«Lo sai, vero, che tanti nostri fratelli di sangue sono morti nel
corso degli attacchi dei lesser», disse, come rivolto al quadro.
«E io che credevo di essere stato nominato leahdyre del consiglio
solo in virtù della mia brillante personalità.»
Montrag lo guardò truce da sopra la spalla, il mento piegato nel
classico modo aristocratico. «Ho perso mio padre, mia madre e
tutti i miei cugini di primo grado. Li ho seppelliti a uno a uno.
Credi che sia stato piacevole?»
«Domando scusa.» Rehv si mise la mano destra sul cuore e chinò
la testa, anche se non gliene fregava un accidente. Non intendeva
lasciarsi manipolare dalla litania dei lutti, specie visto che le emozioni
dell’amico esprimevano avidità, e non sofferenza.
Montrag diede le spalle al dipinto e la sua testa prese il posto
della montagna su cui si ergeva il soldato coloniale… tanto che
l’omino in uniforme rossa sembrava stesse cercando di arrampicarsi
sul suo orecchio.
«La glymera ha subito perdite senza precedenti in quei raid.
Non solo in termini di vite, ma di beni materiali. Case depredate,
oggetti d’arte e d’antiquariato trafugati, conti bancari prosciugati.
E Wrath cos’ha fatto? Niente. Non ha mai dato risposta alle ripetute
richieste di chiarimento su come fossero state localizzate le
residenze di quelle famiglie… sul perché la confraternita non ha
fermato gli attacchi… su dove sono finiti tutti quei beni. Non esiste
un piano in grado di assicurarci che non succederà di nuovo,
nessuna garanzia che, rientrando a Caldwell, i pochi aristocratici
rimasti sarebbero al sicuro.» Montrag s’infervorò per davvero; la
sua voce, alzandosi, riecheggiò contro il soffitto dorato. «La nostra
razza si sta estinguendo e abbiamo bisogno di una vera guida.
Per legge, tuttavia, finché il cuore batterà nel petto di Wrath, il re
è lui. Ma la vita di uno solo vale le vite di tanti? Interroga il tuo
cuore.»
Oh, Rehv lo stava facendo eccome, stava guardando dentro quel
muscolo nero e malvagio. «E poi?»
«Poi assumiamo il controllo e facciamo ciò che è giusto. Durante
il suo mandato Wrath ha rivoluzionato le cose… Guarda
cosa ne è stato delle Elette. Adesso hanno il permesso di circolare
sulla Terra… inaudito! E la schiavitù è stata dichiarata fuori legge,
così come la sehclusion per le femmine. Beata Vergine Scriba, tra
un po’ nella confraternita ci sarà qualcuno con la sottana. Se prendiamo
il potere possiamo annullare ciò che Wrath ha fatto e legiferare
in modo adeguato al fine di preservare i vecchi usi e costumi.
Possiamo organizzare una nuova offensiva contro la Lessening
Society. Possiamo trionfare.»
«Stai usando un sacco di “possiamo”, al plurale, ma chissà perché
ho come l’impressione che non sia esattamente quello che hai
in mente.»
« Be’, naturalmente dovrà esserci una sorta di primo tra pari.»
Montrag lisciò i baveri della giacca assumendo l’atteggiamento di
chi sta posando per una statua di bronzo o per una banconota,
forse. «Una persona di valore e di grande levatura morale.»
«E in che modo verrà scelto questo modello di virtù?»
«Finalmente ci trasformeremo in una democrazia, attendiamo
da lunga pezza una democrazia che sostituirà l’ingiusta e iniqua
convenzione della monarchia…»
Mentre Montrag continuava col suo bla-bla, Rehv si mise comodo,
accavallò le gambe e unì la punta delle dita. Seduto sul soffice
divano del padrone di casa, le sue due metà entrarono in conflitto,
il vampiro si scontrò col symphath.
Con l’unico vantaggio che l’alterco in corso nel suo intimo sovrastò
il rumore di quello sproloquio nasale della serie “so tutto
io”. L’opportunità era evidente: sbarazzarsi del re e assumere il controllo
della razza.
L’opportunità era impensabile: uccidere un vampiro di valore,
un ottimo condottiero e… un amico, per certi versi.
«… e sceglieremmo chi deve guidarci, obbligandolo a rendere
conto del suo operato davanti al consiglio. Ci assicureremmo che
le nostre preoccupazioni trovino il dovuto riscontro.» Montrag
tornò verso il divano, si sedette e si mise comodo, quasi si apprestasse
a blaterare del futuro per ore. «La monarchia non funziona
e la democrazia è l’unico modo per…»
«Democrazia, in genere, significa che ciascuno ha il diritto di
votare», lo interruppe Rehv. «Nel caso ti sfugga la definizione.»
«E infatti sarebbe così. Tutti noi del consiglio faremmo parte
del comitato elettorale. Tutti avrebbero il diritto di votare.»
«Per tua informazione, tutti comprende giusto un paio di persone
in più oltre a “tutti quelli come noi”.»
Montrag gli scoccò un’occhiata carica di “oh per piacere sii serio”.
«Non mi dirai che vuoi affidare le sorti della razza alle classi
inferiori?»
«Non dipende da me.»
«Potrebbe.» Montrag si portò la tazza di tè alle labbra e lo
guardò al di sopra del bordo con occhi penetranti. «Potrebbe, assolutamente.
Tu sei il nostro leahdyre.»
Guardando Montrag, Rehv vide chiaramente tutto il percorso,
come se fosse lastricato e illuminato da potenti lampade alogene:
se Wrath veniva ucciso, la sua stirpe reale sarebbe finita perché
non aveva ancora avuto figli. Le società, in particolare quelle in
guerra come i vampiri, aborrono i vuoti di potere, perciò un cambiamento
radicale dalla monarchia alla “democrazia” non era impensabile
come sarebbe stato in un’altra epoca, più sana e più sicura.
I membri della glymera potevano anche essere fuori Caldwell,
nascosti nelle case sicure sparse in tutto il New England, ma
quel branco di decadenti figli di puttana aveva soldi e influenza
da vendere e da sempre voleva prendere il comando. Con quel
piano, ora finalmente potevano ammantare le loro ambizioni coi
panni della democrazia, fingendo di prendersi cura del popolino.
La natura oscura di Rehv era in fibrillazione, un criminale recluso
ansioso di ottenere la libertà vigilata: misfatti e giochi di potere
erano una pulsione innata per i suoi consanguinei e una parte
di lui voleva creare quel vuoto… per poi infilarcisi dentro.
«Risparmiami la propaganda», disse interrompendo le presuntuose
farneticazioni di Montrag. «Cosa suggerisci, esattamente?»
L’altro fece gran mostra di posare con cautela la tazza di tè,
quasi stesse scegliendo con cura le parole. Figurarsi. Montrag sapeva
perfettamente cosa stava per dire, Rehv era pronto a scommetterci.
Quello non era il tipo di cosa che si può improvvisare
così, sui due piedi, e altri ne erano al corrente. Per forza.
«Come ben sai, il consiglio deve riunirsi tra un paio di giorni a
Caldwell proprio per avere udienza col re. Wrath arriverà e… si
verificherà un evento mortale.»
«Wrath è sempre scortato dai fratelli, non esattamente il genere
di ostacolo facile da aggirare.»
«La morte ha molte maschere. E può esibirsi su molti palcoscenici
diversi.»
«E il mio ruolo sarebbe…?» Anche se già lo sapeva.
Gli occhi chiari di Montrag erano come il ghiaccio, gelidi e luminescenti.
«So che tipo sei. Dunque so esattamente di cosa sei
capace.»
Non era una sorpresa. Da venticinque anni Rehv era un boss
della droga e, pur non avendo mai sbandierato la sua occupazione
davanti ai membri dell’aristocrazia, i vampiri frequentavano regolarmente
il suo club e in parecchi ingrossavano le file dei suoi
clienti “chimici”.
Nessuno, tranne i fratelli, sapeva del suo lato symphath… e, potendo
scegliere, Rehv l’avrebbe tenuto nascosto anche a loro. Negli
ultimi vent’anni aveva pagato profumatamente la sua ricattatrice
per mantenere il segreto.
«Ecco perché mi rivolgo a te», concluse Montrag. «So che sei
in grado di gestire la faccenda.»
«Verissimo.»
«In quanto leahdyre del consiglio ricopriresti una posizione di
enorme potere. Anche se non verrai eletto presidente, il consiglio
dovrà starti a sentire. E lascia che ti rassicuri sulla Confraternita
del Pugnale Nero. So che tua sorella è sposata con uno dei suoi
membri. I fratelli non subiranno conseguenze.»
«Non pensi che la cosa li farà incazzare? Wrath non è solo il
re. È anche uno di loro.»
«Proteggere la nostra razza è il loro mandato primario. Ovunque
andiamo noi, loro devono seguirci. E sappi che in molti pensano
che ultimamente stanno facendo un pessimo lavoro. Ritengo
che forse avrebbero bisogno di una guida migliore.»
«Da parte tua. Giusto. Naturale.»
Sarebbe stato come affidare il comando di una divisione blindata
a un arredatore: un fracco di chiacchiere vuote finché uno dei soldati
avrebbe messo a tacere per sempre quell’incapace mezzacalzetta.
Proprio un piano coi fiocchi. Altro che.
E tuttavia… chi diceva che Montrag dovesse essere il presidente
eletto? Gli incidenti possono capitare ai re come agli aristocratici.
«Devo dirti», riprese Montrag, «come mi diceva sempre mio padre,
che la tempistica è tutto. Dobbiamo procedere senza indugio.
Possiamo contare su di te, amico mio?»
Rhev si alzò in piedi, torreggiando sull’altro vampiro. Con una
rapida tiratina ai polsini della giacca, si raddrizzò il completo Tom
Ford prima di afferrare il bastone. Non aveva la minima percezione
del proprio corpo, non sentiva niente: né i vestiti né il peso
che passava dal fondoschiena alle piante dei piedi o il manico del
bastone nel palmo ustionato. L’intorpidimento era un effetto collaterale
del farmaco che utilizzava per impedire al suo lato malefico
di emergere in presenza di chi symphath non era, la prigione
in cui rinchiudeva i suoi impulsi da sociopatico.
Gli bastava saltare una dose per tornare al suo stato naturale,
però. Nel giro di un’ora il male che c’era in lui si ridestava, pronto
a entrare in gioco.
«Allora, cosa ne dici?» lo incalzò Montrag.
Bella domanda.
A volte nella vita, tra la miriade di decisioni banali come cosa
mangiare, dove dormire e come vestirsi, ci si presenta un vero e
proprio bivio. In questi momenti, quando la nebbia della relativa
irrilevanza si dirada e il fato ci impone di far ricorso al libero arbitrio,
si può solo decidere di andare a destra o a sinistra… non
c’è modo di infilarsi nel sottobosco tra i due sentieri, a bordo di
un fuoristrada, nessuna possibilità di scendere a patti col dilemma
che ci troviamo davanti.
Bisogna rispondere all’appello e fare la propria scelta. Senza possibilità
di invertire la rotta.
Naturalmente il problema era che muoversi all’interno di uno
scenario morale era qualcosa che Rehv aveva dovuto imparare da
autodidatta per mimetizzarsi tra i vampiri. Aveva appreso la lezione,
sì, ma solo fino a un certo punto.
E le droghe che assumeva funzionavano solo così così.
D’un tratto il volto pallido di Montrag si colorò di sfumature
sul rosa pastello, i suoi capelli scuri divennero blu magenta e la
giacca da camera color ketchup. Mentre tutto si tingeva di rosso,
il campo visivo di Rehv si appiattì, mostrandogli il mondo come
su uno schermo cinematografico.
Il che, forse, spiegava perché per i symphath era così facile usare
le persone. Quando il suo lato oscuro prendeva il sopravvento, l’universo
aveva la profondità di una scacchiera e i suoi abitanti erano
pedine per la sua mano onnisciente. Nessuno escluso. Nemici… e
amici.
«Ci penso io», dichiarò Rehv. «Come hai detto tu, so cosa fare.»
«La tua parola.» Montrag tese il palmo liscio. «Dammi la tua
parola che tutto avverrà nella massima segretezza.»
Rehv lasciò pendere quella mano per aria, ma sorrise, rivelando
ancora una volta le zanne. «Fidati di me.»
E il resto lo leggerete presto dalla vostra copia del romanzo!
Affascinante...
RispondiEliminaMa quando mi arriva???
Mi sono informata presso la mondolibri della mia zona ( Via Appia Nuova Roma ) mi hanno detto di passare verso la meta' di settembre. Io, intanto , l' Ho ordinato, non si sa mai. Spero che sia piu' bello di quello precedente che non mi ha " preso " piu' di tanto anche se adoro la Ward. Un saluto a tutte Anna
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