Un altro regalo per voi utenti che amate leggere Urban Fantasy!
Direttamente dalla scrivania di Giusy Berni :
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Era una notte calda, anche se una leggera brezza fredda entrava dalla finestra spalancata.
Osservavo la luna, immensa e pallida che rischiarava l'oscurità di luce soffusa, creando ombre misteriose, che sembravano fantasmi fluttuanti ai confini del giardino.
Un brivido inquietante mi attraversò la schiena, una strana paura prese forma dentro di me. Un timore illogico per la mia mente razionale. Qualcosa in quel lugubre scenario mi aveva colpito ma non riuscivo a focalizzare.
Ero una sciocca, stavo lasciando che l'immaginazione prendesse il sopravvento sulla ragione.
In quella notte magica e silenziosa, ero rimasta sola in casa, mentre mia madre aveva accompagnato i miei due fratelli al tradizionale dolcetto e scherzetto.
Quell'anno mi ero rifiutata di portarceli, ormai avevo venticinque anni, mi rifiutavo di farmi coinvolgere in certe pagliacciate.
Trovavo difficile fare la sorella maggiore a due ragazzini di dieci e dodici anni, il divario era enorme, e per troppi anni ero stata l’unica figlia viziata e coccolata.
Solo negli ultimi anni avevo superato quella gelosia che colpisce ogni primogenito quando il proprio spazio e gli equilibri emozionali vengono adulterati dall’arrivo di un nuovo bambino.
Di nuovo quella sensazione allarmante mi attanagliò le viscere, un altro fremito di paura fece diventare la mia pelle come la buccia di un’arancia.
Osservai il paesaggio notturno diventare sempre più angosciante.
Una nebbia opalescente stava inghiottendo il bosco oltre il giardino, come se avesse vita propria. La osservai inquieta, non riuscendo a comprendere come poteva essersi formata così all'improvviso e in condizioni atmosferiche non adatte.
Seccata mi allontanai dalla finestra, mi strinsi le braccia al corpo sentendo quel gelo malsano penetrarmi sotto la pelle, sino a raggiungere le ossa.
Indietreggiai verso la porta, sempre tenendo d’occhio la finestra spalancata, che ad ogni passo sembrava assumere le fattezze di un varco verso l’ignoto.
La mia immaginazione stava lavorando con alacrità, trasformando granelli di sabbia in montagne.
Era giunto il momento di mettere qualcosa sotto in denti, la fame mi stava giocando brutti scherzi.
Lanciai un’ultima occhiata alla finestra e alla strana nebbia lattea che si avvicinava sempre di più e lasciai la camera da letto.
Appena superato l'uscio mi accorsi che qualcosa non andava.
Il silenzio.
In casa c'era troppo silenzio.
Il ticchettio dell’orrenda pendola della nonna, il ronzio degli innumerevoli apparecchi elettrici ed elettronici, gli scricchiolii tipici di una vecchia casa.
Ed ora, che mi rendevo conto di questo, compresi cosa mi avesse colpito e fatto venire i brividi. Anche all'esterno nessun rumore l'aveva raggiunta.
Il frinire dei grilli, il verso degli uccelli notturni, il soffiare del vento.
Era come essere circondata dal nulla. Immersa nel nulla.
Cominciai a sudare. Era irragionevole, era la mia immaginazione che mi giocava brutti scherzi, non ero abituata alla solitudine.
Lentamente scesi le scale, circospetta, aspettandomi di essere aggredita da qualche nemico in agguato.
Arrivai all'ultimo gradino, guardai nel salone che si apriva alla mia destra.
Vuoto, nulla che desse l'impressione che ci fosse un pericolo nascosto.
Eppure continuavo a sentire quella costrizione alla bocca dello stomaco, il sapore amaro della bile.
Era la paura.
Il mio corpo stava reagendo a qualche stimolo esterno, in maniera esagerata, e non ero abituata a perdere il controllo in questo modo di me stessa.
Seccata da questo terrore irragionevole, mi diressi verso la sala da pranzo, decisa ad andare in cucina a preparami un panino per cena.
Aprii la porta alla mia sinistra, ed entrai decisa.
In quel momento mi ritrovai immersa nelle tenebre.
Un gelido terrore mi attraversò il corpo, rimasi sull'uscio imbambolata, mentre gli occhi si abituarono all'improvvisa oscurità.
Sudavo e tremavo, non riuscivo a muovere un altro passo, chiusi gli occhi cercando di pensare ad altro, cercando dentro di me la forza per affrontare chiunque fosse dietro quell'incubo.
Non ero sola in casa.
Qualcuno vi si era introdotto ed ora stava giocando con me.
Riaprii gli occhi, aspettandomi di trovarmi una faccia ghignante, invece osservai meravigliata la sala da pranzo illuminata da decine di candele.
Sconcertata fissai la tavola apparecchiata per due.
Tovaglia di lino bianco, finemente ricamata. Posate che sembravano d'argento, bicchieri di cristallo.
Mi strofinai gli occhi, li chiusi e li riaprii.
Nulla era cambiato. Continuavo a trovarmi dinanzi uno scenario che sembrava tratto da un romanzo rosa d'appendice, di quelli che mia madre leggeva di nascosto, ma in questo caso non era il preludio ad un incontro romantico.
Cercai tra le ombre l'artefice di quella grottesca messinscena, ma nulla sembrava turbare la quiete artefatta di quella stanza, mentre osservavo sconvolta la tavola apparecchiata, quel quadro assumeva di secondo in secondo un aspetto sempre più sinistro.
Quale mente perversa le stava giocando questo tiro mancino?
Che significato poteva avere quella coreografia?
E dov’era il suo persecutore?
Varcai titubante la soglia, e la porta si richiuse dietro di me con un tonfo sinistro. Mi girai di scatto, afferrai la maniglia, ma i miei sforzi risultarono inutili.
Ero in trappola.
Sciocca. Sciocca. Perché era entrata? Doveva fuggire immediatamente da quella casa.
Ma fuori c’è la nebbia. Sussurrò una voce dentro di me.
Nebbia o non nebbia, doveva uscire da lì.
Tremante mi avvicinai alla portafinestra che dava sul patio, tolsi la sicura e abbassai la maniglia. Inutilmente.
In preda alla frenesia provai anche con la finestra. Ogni varco sembrava essere inviolabile, era prigioniera nella sua stessa casa.
L’immagine del telefono balenò nella sua mente sconvolta, e senza perdere tempo mi fiondai verso l’apparecchio che si trovava su un tavolino accanto alla credenza.
Alzai il ricevitore e digitai il numero della polizia, ma il silenzio rispose al mio grido di aiuto. Era muto. Non c’era linea.
Guardai con raccapriccio la tavola apparecchiata, le candele tremolanti. Testimoni beffarde del mio terrore.
Non potevo arrendermi senza lottare, e senza riflettere corsi verso la porta della sale, buttandomi contro con tutto il mio peso. Rimbalzai per il contraccolpo e caddi a terra.
Un dolore acuto alla caviglia e alla spalla mi paralizzò per parecchi minuti. Chiusi gli occhi mentre con la mano massaggiavo le parti dolenti.
Lacrime di dolore, di rabbia e di terrore scendevano silenziose sul viso, non riuscivo a frenarle. Un singhiozzo soffocato esplose dal mio essere, incurante dei miei tentativi di soffocarlo, per non dare soddisfazione al mio persecutore.
Seduta a terra, abbracciai le ginocchia, appoggiandovi la testa.
La disperazione si era impadronita del mio cuore, mi sentivo senza speranza, prigioniera in quella stanza e senza un nemico da combattere.
Mi alzai con difficoltà, zoppicando pietosamente, mi sedetti alla tavola apparecchiata, gli occhi fissi sul piatto di fine porcellana.
La temperatura diminuì in modo drastico, brividi di freddo mi attraversarono scuotendomi dal torpore in cui ero caduta.
Alzai la testa di nuovo pronta a lottare.
Sgranai gli occhi dinanzi all’apparizione che sembrò generarsi dalle ombre e dalle tenebre.
Fissai impietrita la figura oscura che prendeva forma davanti ai miei occhi. In pochi secondi, la massa nera emerse dall’oscurità, la luce delle candele illuminarono quell’entità rivelando la sua fisionomia.
Rimasi inchiodata sulla sedia, terrorizzata da quello spettro che mi stava osservando con freddezza implacabile.
Mi alzai con lentezza, volevo cercare, dovevo cercare un rifugio, ma non riuscii a distogliere lo sguardo da quella creatura che seguiva ogni mio movimento con occhi di fuoco.
Arretrai senza guardare la direzione, ritrovandomi con le spalle al muro, vidi con raccapriccio che l’essere mi stava seguendo, avvicinandosi ad ogni passo. Fluido, ferale, sembrava che scivolasse sul pavimento.
In pochi istanti fu davanti a me.
Era alto, massiccio, torreggiava su di me con aggressività inquietante, distolsi gli occhi, appiattendomi al muro. Il cuore colmo di terrore e angoscia per il mio destino.
Non potevo credere a ciò che vedevo, a ciò che stava accadendo. Mi sembrava di vivere un film dell’orrore. Ma era tutto vero.
Non potevo accettare così passiva il mio fato, non potevo permettere chiunque cosa fosse quella creatura di ridurmi come una pietosa donnetta piagnucolosa.
Alzai di scatto la testa e lo fissai dritta in quegli rossi. Il resto del suo viso restava sfocato, sembrava uno spettro nero come il buio che lo aveva generato.
C’era una domanda che dovevo fargli. Dovevo sapere.
«Perché la tavola apparecchiata»
«Per la cena» ma le parole rimbombarono nella mia testa, sembravano un tuono, profonde, spesse.
«La cena?» ripetei stupefatta da quell’affermazione «Quale cena?»
«La mia» rimbombò nella mia mente, mentre osservavo con orrore spalancarsi le fauci dell’essere e denti affilati apparire in quell’antro confuso che era il suo viso.
Il mio urlò spezzò il silenzio ovattato che finora mi aveva circondata, mentre osservavo impotente il demone chinarsi su di me, mi resi conto che non c’era più speranza.
Gridai, gridai.
Caddi dalla poltroncina posta vicino alla finestra nella mia camera da letto.
Rimasi alcuni momenti immobile, seduta sul freddo pavimento, osservando la mia stanza, rendendomi conto che non ero in sala da pranzo, non c’era nessun demone, ed ero ancora viva.
Un sogno. Anzi un incubo.
Sospirai di sollievo.
E scoppiai a ridere, la tensione e l’orrore di quel sogno cominciarono a scemare, in quella risata liberatoria.
Di sicuro tutti quei discorsi su demoni, vampiri e mostri vari, fatti dai miei fratellini, avevano eccitato la mia fantasia, regalandomi un incubo formato gigante.
Mi alzai da terra, e guardai fuori dalla finestra.
La notte era scesa, la luna, immensa e pallida illuminava il giardino, conferendogli un’aria spettrale.
Una fitta nebbia opalescente si stava innalzando dal bosco al di là del recinto del giardino, inghiottendo gli alberi come se li fagocitasse, con lentezza inesorabile verso la casa.
Un brivido freddo mi attraversò la schiena.
Il silenzio.
Giusy Berni
E brava la nostra GiusY!!
RispondiEliminaComplimenti!!!! molto, molto carino! :-)))))
brava !
RispondiEliminaBello bello bello!!! Mi sembrava proprio di essere lì con la protagonista!!!
RispondiEliminaGrazie! L'idea mi è venuta nel Blog di Juneross...leggendo "A cena con il dannato"! L'ho scritto in una serata...;o))))
RispondiEliminaLady Akasha (Giusy Berni)
Questo, mi è piaciuto!
RispondiEliminaCiao
Morena
Bello! Un'atmosfera veramente da brivido...
RispondiEliminaComplimentiiii Giusy!! Davvero ben costruito con tanta tensione e che lascia con la voglia di leggere il seguito ;)!! Bravissima
RispondiEliminaUn bacione
Angy
Bravissima Giusi ciò ancora la pelle d'oca bbbrrrr mi sembrava di essere lì ,complimenti!
RispondiEliminaCarinissimo!!!! complimenti!...mi sa che abbiamo delle future scrittrici di successo..Dany
RispondiEliminaComplimenti! Bel racconto....
RispondiEliminaKiss
Lucia